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ifecLe Regioni hanno messo a punto un documento che rende uguale la figura dell’IF/C su tutto il territorio, approvato dalla Conferenza delle Regioni il 10 settembre e che ora potrà e dovrà essere attuato su tutto il territorio nazionale in modo omogeneo.

Un documento che segue la strada tracciata dal Patto per salute 2019-2021 e dalle proposte della FNOPI messe nero su bianco in un modello consegnato a Governatori e ministro della Salute: “La proposta di linee di indirizzo – scrivono le Regioni – è stata redatta dal sottogruppo tecnico a partire dal documento ‘Position statement su Infermiere di Famiglia e Comunità’ della FNOPI, in cui la descrizione delle competenze dell’IF/C risulta completa e in linea con gli orientamenti Europei per quanto riguarda i due ambiti di competenza (famiglia e comunità) ritenuti strategici per la promozione della salute e gestione della cronicità/fragilità sul territorio”.

Il documento delle Regioni e il position statement della FNOPI – pubblicato come ulteriore ebook della Federazione a cui ha collaborato anche il Presidente OPI Grosseto Nicola Draoli – chiariscono bene cosa è, cosa non è, e quali sono le potenzialità e le peculiarità anche formative, organizzative e collaborative di questa figura, che di fatto esiste da anni in molte realtà locali, ma che ora andrà codificata, organizzata, normata e formata in tutte le Regioni.

Ma le Regioni hanno anche sottolineato che dell’IF/C c’è bisogno in fretta per l’urgenza determinata dal fenomeno epidemico da SARS-CoV-2 e per le “potenzialità determinate dall’introduzione di tale professionista sanitario per il potenziamento delle cure primarie” e per questo hanno messo a punto il loro documento.

Chi è l’infermiere di famiglia/comunità (IF/C)

È un professionista della salute che riconosce e cerca di mobilitare risorse all’interno delle comunità, comprese le competenze, le conoscenze e il tempo di individui, gruppi e organizzazioni della comunità per la promozione della salute e del benessere nella comunità. Cerca di aumentare il controllo delle persone sulla loro salute.

È di riferimento, secondo le Regioni, per tutta la popolazione (ad es. per soggetti anziani, per pazienti cronici, per istituti scolastici ed educativi che seguono bambini e adolescenti, per le strutture residenziali non autosufficienti, ecc.…) con particolare attenzione alle fragilità per cui secondo le Regioni è opportuno concentrare il focus dell’IF/C su tale target identificato attraverso l’analisi dei dati epidemiologici e sociodemografici.

Inoltre, in particolari condizioni epidemiologiche, quale quella da COVID-19 attuale, il suo intervento può essere orientato alla gestione di un target di popolazione specifica, ad es. per il tracciamento e monitoraggio dei casi di COVID-19 coadiuvando le USCA, in collaborazione con medici di medicina generale e Igiene Pubblica e nelle campagne vaccinali.

Lavora in modo proattivo, come illustra il modello FNOPI recepito dalle Regioni. Non aspetta solo le prescrizioni, ma intercetta autonomamente i suoi assistiti di cui conosce le problematiche di salute. La finalizzazione dell’azione fondamentale degli IF/C mira al potenziamento e allo sviluppo della rete sociosanitaria con un’azione che si sviluppa dentro le comunità e con le comunità.

L’IF/C fa una valutazione dei bisogni di salute; prevenzione primaria, secondaria e terziaria; conosce i fattori di rischio prevalenti nel territorio di riferimento, la relazione d’aiuto e l’educazione terapeutica; stende piani assistenziali infermieristici, individua quesiti di ricerca infermieristica.

Ma orienta anche ai servizi, fa una valutazione, indicazione e prescrizione dei presidi necessari.

Monitora l’aderenza terapeutica, l’empowerment e valuta i sistemi di tele monitoraggio-

È lui che attiva consulenze infermieristiche, si occupa della formazione dei caregiver e delle persone di riferimento.

Soprattutto collabora a strategie assistenziali di continuità ospedale territorio, definisce e contribuisce a protocolli, procedure, percorsi e progetta e attua gruppi di auto mutuo aiuto.

Chi non è l’infermiere di famiglia/comunità (IF/C)

La FNOPI spiega che non è l’infermiere di studio del medico; non è l’infermiere che garantisce solo prestazioni (siano esse in AID e ADI), ma collabora con tutti e può erogare prestazioni correlate alle sue specifiche competenze clinico assistenziali.

Al contrario di altre professioni sanitarie, l’infermiere di famiglia e comunità (e in generale l’infermiere) non è una figura tecnica perché il suo intervento non si esaurisce con la prestazione erogata a fronte di una bisogno, ma agisce in modo preventivo, proattivo e partecipativo rispetto al paziente e anche alla sua famiglia perché questi siano in grado di comprendere la loro situazione e di affrontarla secondo i parametri necessari all’assistenza e alla tutela della salute, ma anche da punto di vista sociale e di integrazione per una qualità di vita migliore.

E non va confuso nemmeno con l’infermiere ADI, ma svolge una funzione integrata e aggiuntiva, anche se può erogare direttamente cure infermieristiche complesse.

Come si forma, come si attiva e dove lavora l’IF/C

Le sue competenze secondo la FNOPI sono definite in percorsi formativi specifici post-laurea (tra cui Laurea Magistrale, Dottorato, Master di I e II Livello: oggi sono formati così oltre 6mila infermieri).

E per le regioni sono competenze di natura clinico assistenziale e di tipo comunicativo-relazionale. L’IF/C deve possedere capacità di lettura dei dati epidemiologici e del sistema-contesto, deve avere un elevato grado di conoscenza del sistema della Rete dei Servizi sanitari e sociali per creare connessioni ed attivare azioni di integrazione orizzontale e verticale tra servizi e professionisti a favore di una risposta sinergica ed efficace al bisogno dei cittadini della comunità.

Le Regioni riconoscono la necessità di considerare rilevante prevedere un percorso di formazione specifica con l’acquisizione di titoli accademici, ma perché l’IF/C sia subito operativo propongono di individuare infermieri per i quali sia possibile valorizzare l’esperienza acquisita, la motivazione e l’interesse all’ambito territoriale dell’assistenza. A titolo di esempio avere un’esperienza (almeno due anni) in ambito Distrettuale/territoriale, domiciliare o con esperienza di percorsi clinico-assistenziali (PDTA), di integrazione ospedale-territorio, di presa in carico di soggetti fragili.

L’IF/C secondo il modello FNOPI può attivarsi su prescrizione ma anche autonomamente in particolare per quanto riguarda la promozione di modelli di prossimità e di proattività anticipatori del bisogno di salute rivolti a tutta la popolazione, malata o sana.
Questo deve avvenire in un bacino di utenza definito che sia coerente con le condizioni geografiche e demografiche del territorio di riferimento e che condivida con gli altri attori principali del territorio tra cui Mmg e Assistenti sociali

La sua azione si svolge a casa delle persone, negli ambulatori infermieristici, nelle strutture intermedie e afferisce ai servizi infermieristici del distretto di riferimento.
Le Regioni sono d’accordo: “l’IF/C è inserito all’interno dei servizi/strutture distrettuali e garantisce la sua presenza coerentemente con l’organizzazione regionale e territoriale (Case della Salute, domicilio, sedi ambulatoriali, sedi e articolazioni dei Comuni, luoghi di vita e socialità locale ove sia possibile agire interventi educativi, di prevenzione, cura ed assistenza). Agisce nell’ambito delle strategie dell’Azienda sanitaria e dell’articolazione aziendale a cui afferisce, opera in stretta sinergia con la medicina generale, il Servizio sociale e i professionisti coinvolti nel setting di riferimento in una logica di riconoscimento degli specifici ambiti professionali e di interrelazione ed integrazione multiprofessionale”.

A QUESTO LINK IL DOCUMENTO DELLE REGIONI

A QUESTO LINK IL POSITION STATEMENT FNOPI


Disegno di legge 1715 di riforma del servizio 118: troppe deroghe sugli ambiti di operatività del servizio e i tempi di intervento rispetto al decreto ministeriale 2 aprile 2015 n.70 sugli standard ospedalieri che disegna il sistema di emergenza-urgenza secondo un modello omogeneo sul territorio, che si sarebbe dovuto semmai far applicare omogeneamente dalle Regioni.

Economicamente sconveniente prevedere per le centrali operative un livello provinciale senza una valutazione accurata delle caratteristiche del territorio.

Il dipartimento è scollegato dai dipartimenti emergenza urgenza intraospedaliera (con  una frammentazione in termini di disequità con i medici dedicati al dipartimento ospedaliero che saranno solo quelli inidonei al territorio). A questo si aggiunge l’utilizzo di personale senza specialità ma solo con una formazione di 300 ore.

Gli standard definiti non sono chiari: citano i 60.000 abitanti ogni mezzo di soccorso avanzato già citati dal DM e ne inseriscono 100.000 per le aree urbane, ma soprattutto definiscono come mezzo di soccorso avanzato quello medico-infermieristico, oggi utilizzato nel 5% dei casi.

“Pensiamo – spiega la presidente FNOPI Barbara Mangiacavalli – che una riforma di questa portata, su un argomento così centrale per l’assistenza che deve essere garantita ai cittadini, dovrebbe guardare di più ai loro bisogni, meno ad altre tipologie di interesse che nulla hanno a che vedere con questi; essere il frutto di una totale convergenza di tutti gli attori coinvolti; valorizzare e sistematizzare le innovazioni intercorse negli anni, da quelle professionali a quelle organizzative, anche in alcune realtà regionali; guardare a riferimenti e orientamenti internazionali; essere sempre in linea con le evidenze scientifiche e organizzative disponibili e più aggiornate”.

“E’ l’impianto generale del DDL – afferma Mangiacavalli – che dal nostro punto di vista merita un ripensamento strutturale perché intravediamo un ritorno al passato, ampiamente superato dai fatti, dai dati, dall’evoluzione (anche formativa) della nostra professione, dalle innovazioni che servono al nostro Servizio sanitario nazionale per rispondere sempre meglio ai bisogni dei cittadini, che sono il vero faro al quale dobbiamo guardare tutti. Invece notiamo una particolare attenzione ai contenitori (dipartimenti, ruoli,…), meno sui contenuti, che invece guardano troppo al passato”.

“Sul versante del personale – afferma Nicola Draoli, componente del Comitato centrale FNOPI e Presidente OPI Grosseto che ha rappresentato la Federazione nell’audizione sul Ddl in Commissione Igiene e Sanità al Senato  – come Federazione (ma non solo: anche altre organizzazioni non solo infermieristiche la pensano in questo modo) siamo per un percorso di specializzazione infermieristica, ma questo Ddl parla di infermieri 118 dedicati, senza declinare non solo le competenze, ma nemmeno il percorso formativo”.

Ancora per la FNOPI è problematico il criterio di definire standard temporali che siano sganciati dalla necessità di risposta alla tipologia dei bisogni. Così come appare necessario che siano definiti protocolli chiari, omogenei, condivisi e inderogabili a livello nazionale per le varie tipologie di intervento, in modo tale da non creare i presupposti per azioni strumentali di rivalsa da parte di qualunque delle professioni coinvolte, come invece è spesso accaduto, lasciando una parte importante dell’organizzazione dell’emergenza-urgenza alle scelte della magistratura.

La Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche valuta il provvedimento distante dalla vision della comunità infermieristica che rappresenta, dall’architettura e dai riferimenti introdotti attraverso gli standard previsti dal decreto 70/2015 e in alcuni passaggi non convergente e coerente con le evidenze più aggiornate e riconosciute dalla letteratura scientifica e organizzativa del nostro SSN.

Secondo Draoli “le prestazioni del Sistema 118 non devono essere necessariamente medicalizzate né si può ipotizzare una qualunque penalizzazione di ruolo e di capacità professionale per la figura dell’infermiere. A ciascuno il suo ruolo e la sua professionalità, secondo meccanismi e interazioni virtuose che riconoscano il ruolo, la funzione e la crescita professionale delle famiglie professionali, anche considerando le prerogative proprie dell’una e dell’altra professione”.

“Per quanto ci riguarda  – conclude Draoli – non vuole esserci alcuna invasione di campo per ciò che attiene compiti e ruoli propri di altre professionalità, ma il giusto e corretto riconoscimento del nostro status giuridico di professionisti sanitari e con le competenze previste dal nostro profilo professionale; perché sostenuto dall’ordinamento giuridico nazionale ed europeo oltre che da linee guida internazionali e da specifici protocolli. Infermieri e medici del servizio di emergenza 118 operano in integrazione e, quando le situazioni evidenziano particolari complessità, in sinergia con i medici dell’emergenza urgenza (automediche ed elisoccorso). In un settore ricco di tecnologia e interconnessioni continue in remoto con tutte le professionalità – conclude -, l’autonomia si può esercitare in équipe, in costante collegamento con la centrale operativa e bisogna essere messi in condizione di esprimere il massimo delle competenze spendibili da tutti, soprattutto in un ambito come quello del 118 che deve essere dinamico, flessibile e con interventi modulabili in sicurezza”.

 

Alessia Bonari è un collega che lavora a Milano ma è una nostra concittadina. Riportiamo le parole di Paola Arcadi che ben rappresentano il nostro pensiero:
"Alessia Bonari, in tutto il suo splendore, sfila sul red carpet al festival del Cinema di Venezia per ricevere il premio “Personaggio dell’anno” in rappresentanza di tutti gli infermieri italiani impegnati nella lotta contro il Coronavirus. 
Il suo selfie, scattato quel 9 marzo, ha fatto il giro del mondo. 
La sua bellissima immagine a Venezia, altrettanto. 
Ci sono simboli che devono essere onorati da parte di tutti coloro che si raffigurano in essi. 
Semplicemente questo dovrebbe fare un’intera categoria oggi. 
Grazie Alessia, da parte di tutti noi"
alessia bonari

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