
Cerchiamo tutti qualcuno che ci salvi, ma facciamo fatica a cercarlo in noi stessi.
Identità e coesione professionale. In cosa ci riconosciamo? In chi ci identifichiamo? Siamo una professione cosi essenziale e incisiva quanto divisa nell’identità e nella coesione. Piegati da organizzazioni sempre più a corto di risorse e di valori, in un contesto difficile e orfano di processi relazionali, che tendiamo a cercare divisioni piuttosto che punti in comune. Il collega che lavora su turno guarda con diffidenza chi lavora sul diurno, come se questa differenza organizzativa potesse incidere nell’identità professionale, come se identificasse un infermiere diverso. Peggio che mai quando si guarda ai coordinatori, ai dirigenti, ai formatori. Peggio ancora quando si guarda ai rappresentanti ordinistici o sindacali. La matrice comune, essere infermieri, quasi non conta più. Anzi, sembra a volte che non condividere il turno in quinta sia di per se elemento sufficiente a dichiarare che non si possa essere infermieri con la I maiuscola. Se poi ci chiedessimo chi è l’infermiere avremmo tutti difficoltà a descriverci compiutamente, ma non abbiamo nessuna difficolta, incredibilmente, a supporre chi è infermiere con la i maiuscola e chi no. Come se ci fosse una mediana e tutto ciò che devia da questa mediana non potesse condividere identità, passione, problematiche, visioni. Un po’ come San Agostino che diceva: “se penso al tempo so descriverlo ma se qualcuno me lo chiede non lo so più”.