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Riportiamo l'approfondimento del Presidente Nicola Draoli su Qutidiano Sanità del 21 giugno 2023

Link all'articolo originale: https://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=114853

numeriRagionare solo sui numeri, isolandoli dal resto, rischia di far sembrare il dibattito un dibattito di, perdonate l’espressione, pura manovalanza. Non va assolutamente eliminato ma forse dovremmo sempre sforzarci di affiancarlo a qualcos'altro.

Da Presidente di Ordine e consigliere nazionale FNOPI la domanda che più mi mette in difficoltà, che puntualmente arriva, è: quanti infermieri mancano. Può sembrare assurdo che sia una domanda scomoda ma, per indole, mi pongo sempre il tema del modello narrativo che vogliamo instaurare e come questo condizioni la percezione dei cittadini e della politica.

Gli infermieri certamente mancano e va sottolineato con forza. Da dove vogliamo ricavare questo numero è altra questione. Il dato lo si può estrapolare sostanzialmente da:

- Benchmarking, in particolare guardando alle realtà europee. A sua volta il confronto si può basare su rapporto con abitanti, rapporto con posti letto, rapporto con le altre professioni, rapporto tra neolaureati e popolazione. Il benchmarking spesso avviene anche all’interno di singole Regioni o tra Regioni. Nel benchmarking il dato che reputo più importante è il rapporto con gli abitanti perché riflette la volontà generale e politica di investire in assistenza infermieristica e può darci lo spunto per capire i modelli organizzativi a maggior presenza infermieristica.

- Studi e analisi. Penso ad esempio all’importante e fondamentale studio multicentrico di RN4Cast che commisura anche rispetto a standard qualitativi e di sicurezza la presenza infermieristica, attendendo l’enorme lavoro di ricerca promosso dalla FNOPI e dal CERSI AIDOMUS-IT sull’assistenza territoriale.

- Normative e linee di indirizzo nazionali e regionali. In alcuni casi, penso alle normative di accreditamento regionali per la residenzialità, tali norme definiscono il mantenimento di un certo numero di ospiti e sono quindi assolutamente stringenti.

La statistica quantitativa è uno strumento estremamente malleabile e necessario a parametrare e definire i quantum il più obiettivamente possibile e, in alcuni casi, a dichiarare sostenibile o meno un servizio. Tuttavia, i numeri non rispondono a molte questioni aperte e ad un modello di presa in carico globale molto complesso e necessario in particolare sui servizi territoriali.

Ognuno di noi, nel proprio ambiente di lavoro, sperimenta ormai da anni una carenza tangibile, reale. La sperimenta sulla propria pelle in termini di produttività aggiuntiva, mancati riposi. Questa carenza, se scendiamo dal generale al particolare, potrebbe però non trovare riscontro obiettivo contando le “teste” dentro un servizio.

Lo scenario nel quale lavoriamo ha delle variabili prese in scarsa o nulla considerazione e penso a: inidoneità, permessi usufruibili per legge e soprattutto competenze e specializzazioni. Sulle inidoneità secondo uno studio Bocconi/FNOPI l'11,8% degli organici di Asl e ospedali presenta inidoneità fisiche che ne limitano la mansione svolta e di questi il 7,8% presenta inidoneità parziali permanenti. Lo 0,4% raggiunge invece un'inidoneità totale.

L’invecchiamento e le cronicità della popolazione, unite alla fragilità familiare e sociale, non risparmiano ovviamente i professionisti che sempre più spesso usufruiscono, purtroppo, degli istituti di assenza previsti per assistenza ai propri cari.

Vi è poi il tema, che è “IL” tema da affrontare e non più rimandabile, di immaginare come competenze avanzate e specializzazioni formali, riconosciute ed agite, impattino sulla sostenibilità e sulla qualità di determinati servizi. Per dirlo nello stile colloquiale con il quale sto impostando questa riflessione: la competenza, l’esperienza e la formazione sono in grado di far “valere” singoli professionisti in modo diseguale. In sostanza uno non vale uno. Un setting a pieno organico, e quindi assolto ad ogni valutazione numerica, se composto solo da neolaureati o persone con scarsa o nulla esperienza in quel settore di sicuro non offre una condizione di qualità e sicurezza ottimale, al punto che potrebbe risultare più in “crisi” rispetto ad un setting gemello con meno personale ma più preparato e competente. Vi sono poi setting dove una bassa complessità potrebbe far ripensare la presenza infermieristica in favore di una maggiore presenza di operatori di supporto.

Qui subentra il fattore “skill mix” tra OSS e Infermieri che se ragionato con onestà intellettuale e senza corporativismi è un fattore che può stravolgere ogni nostro ragionamento sulla carenza. Chi ha ruoli gestionali conosce bene poi la fatica di collocare un professionista, magari con skill notevoli e competenze di livello, ma inidoneo all’assistenza diretta, in un ambito in cui il suo contributo è comunque funzionale all’organizzazione se non dirompente nel modificare processi clinici.

Vi è infine il tema della leadership attenta, valorizzante ed etica. Anche qui l’aneddotica di tutti noi sicuramente riconosce che un ambiente di lavoro sano, premiante, coeso e attento produce risultati migliori ad iporisorse piuttosto che un ambiente tossico ad iperisorse.

Ecco perché i numeri, da soli, ci dicono molto ma sempre molto parzialmente. Del resto, ogni manager ha sperimentato luoghi di lavoro spesso definiti “buchi neri e voragini” continui di risorse e luoghi di lavoro obiettivamente più in sofferenza sui numeri ma che producono esiti migliori. In una mia recente intervista alla domanda su quali sono i servizi più sofferenti ho risposto che in realtà dovevano chiedermi quali sono le zone geografiche più sofferenti.

Ci sono infatti ulteriori due temi che non rispondono alla conta dei numeri:

1) Le zone geografiche disagiate, isolate, montane, rurali in cui i professionisti non vogliono lavorare e che invece sono indispensabili per la sanità di prossimità del futuro. E questo problema non lo risolviamo nemmeno se con una bacchetta magica avessimo immediatamente i 70.000 infermieri in più mancanti al dm 77. Questo tema ha a che fare con un mondo profondamente cambiato, con giovani che guardano a realtà metropolitane e sempre meno a comunità più isolate e poco attrattive dal punto di vista sociale (inteso come socialità), economico e culturale.

2) I servizi che vogliamo garantire. E qui rispondo alla nuova narrazione citata in premessa. Quali servizi vogliamo garantire? Gli infermieri si trovano in progetti e linee di processo delle più disparate e fondamentali che disegnano il tipo di SSN che stiamo offrendo (Educazione alla comunità, Rete antiviolenza, Controllo delle infezioni, outsourcing ed eco management, laboratori di ricerca, qualità e sicurezza, accreditamento, rischio clinico e molto molto altro). La sostenibilità del nostro servizio sanitario è tale a seconda di ciò che noi vogliamo rendere sostenibile.

Continuiamo a chiederci quanti infermieri mancano ma dovremmo affiancare sempre a questa domanda anche: per fare cosa? Su quali servizi? Per garantire cosa ai cittadini?

Il rischio di una narrazione solo numerica sono le soluzioni tampone di reclutamento selvaggio. Il tentativo urgente di coprire “un numero” e non “un professionista”. Il cercare l’assoluzione sui numeri sacrificando il patrimonio scientifico, culturale, specialistico di tutti noi. L’abdicare un ragionamento più faticoso e complesso ma necessario e vitale sul riconoscimento delle specializzazioni infermieristiche, sul rapporto qualitativo con gli operatori di supporto, sulle valorizzazioni delle competenze, sui processi assistenziali innovativi su cui investire. Ragionare solo sui numeri, isolandoli dal resto, rischia di far sembrare il dibattito un dibattito di, perdonate l’espressione, pura manovalanza. Non va assolutamente eliminato ma forse dovremmo sempre sforzarci di affiancarlo a qualcos'altro.

Nicola Draoli

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