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Girovagando su Facebook mi appare questa foto. Descrive alcune peculiarità del Nurse Practitioner Americano. Prima leggete e poi tornate qui…

 

Nurse Practitioner

 

Come prima cosa ho pensato, e credo anche voi, ma perché  non siamo in quella maturità professionale, formativa, organizzativa? Ho anche pensato: “accidenti, quasi un medico di medicina generale”. Ecco, su questo ultimo pensiero mi sono fermato anche un poco stupito e mi sono detto no. Ci sono molti fattori che frenano la nostra crescita. Molti derivano direttamente da noi stessi nei vari livelli in cui operiamo ed esistiamo, altri dalla continua tensione interprofessionale -  in particolar modo con i medici -  che ci accusano di aggredire ambiti di loro competenza specifica. Credo che il fulcro di tale ansia sottrattiva derivi da una scarsa fiducia ed identità disciplinare di entrambe le professioni e da un sistema sanitario culturalmente miope e limitato.

L’evoluzione culturale del sistema arriverà quando smetteremo tutti di chiederci chi può fare cosa in termini asettici e decontestualizzati e cominceremo a  chiederci cosa quel professionista può fare per dare risposte che servono rispettando appropriatezze cliniche ed economiche.

Ad ogni modo se pure io che professo, anche forse eccessivamente, il messaggio “non è l’atto a fare il professionista ma il ragionamento disciplinare” mi sono ritrovato a pensare come primo impulso…”quasi come un medico”…vuol dire che siamo ancora tanto viziati nel pensiero inconscio.

Allora mi sono messo ad analizzare un po’ meglio le funzioni descritte e mi sono reso conto che invece c’è molta disciplina infermieristica e che di fatto non siamo così lontani da quel depliant se solo avessimo delle norme più coraggiose a supporto ma anche se avessimo noi stessi il coraggio di pretendere di lavorare secondo le norme che già ci sono e ci descrivono.

vediamolli insieme questi punti che descrivono il Nurse Practitioner:

  • Lavorare insieme agli altri professionisti della salute. Mi piace la lingua inglese. In poche parole descrive ambiti complessi. Sicuramente quel Together sottintende non solo fisicamente insieme ma condividendo informazioni, decisioni, risultati. Ad ogni modo è richiesto anche a noi.
  • Ottenere una storia (anamnesi) di salute e familiare. E anche qui dovremmo esserci. Possiamo farlo e dovremmo farlo. La domanda piuttosto è: lo facciamo? Facciamo accurate anamnesi? Indaghiamo il contesto familiare dei nostri assistiti? Lo documentiamo adeguatamente? Utilizziamo i dati raccolti per personalizzare i nostri interventi? Il sistema non ci concede tempo sufficiente lo sappiamo bene. Ma lo pretendiamo noi questo tempo di indagine e di raccolta o lo derubrichiamo a “burocrazia inutile”?
  • Eseguire un esame fisico (obiettivo?) con rilevazione dei segni vitali. Un esame testa piedi è l’ABC dell’emergenza territoriale. In rianimazione si auscultano campi respiratori routinariamente. Ma servirebbe saper fare palpazione e auscultazione per molti motivi diversi.  E anche qui, posto che lo facciamo e lo potremmo fare senza nessun problema, però dobbiamo chiederci come noi utilizziamo un esame fisico. Ne ricaviamo informazioni utili al nostro agire assistenziale e ambito specifico di lavoro?  Perché se così non è allora i medici hanno ragione ad alzare i sopraccigli. Un fonendoscopio può stare al collo di un medico o di un infermiere ed usato nello stesso modo ma per finalità del tutto diverse. Forse nelle università dovremmo spingere sulla semeiotica anche se nel nostro paese il termine semeiotica corrisponde automaticamente al processo di formulazione di una diagnosi medica.  Le  parole nel nostro paese sono croce e delizia. Si sono alzati scudi sui termini “diagnosi, dimissione, dottore, infermiere di famiglia”, tutta terminologia che non identifica solo il medico  ma – poiché storicamente così è – allora è vista come un problema.
  • Diagnostica e tratta molti problemi di salute e sintomi. Diagnostica. Diciamocelo…abbiamo pensato tutti alla diagnosi medica. Ma perché mai? Non abbiamo forse noi le diagnosi infermieristiche? E infatti si parla di problemi di salute…ovvero l’ambito di intervento delle diagnosi infermieristiche. Tratta i problemi di salute….e tratta i sintomi. Bene. Ci siamo anche qui. Non possiamo negare che noi trattiamo sintomi, al limite possiamo interrogarci con quale grado di libertà. Ad esempio abbiamo un see e treat e un fast track ma non lo abbiamo ovunque, dove c’è spesso non viene utilizzato, ma è soprattutto ancora legato pesantemente alla doppia firma medico infermiere che è un compromesso pavido. La strada comunque  l’abbiamo davanti. Anche qui però dobbiamo avere il coraggio di dirci che in parte è una strada resa tortuosa da elementi esterni a noi ma anche resa ostica da elementi di resistenza e scarsa consapevolezza interni a noi.
  • Prescrive medicazioni e altri trattamenti. Ci siamo? Più no che sì. Qui davvero ci vorrebbe il coraggio di norme che descrivano la realtà dei fatti. Nella realtà, anche tralasciando la farmacologia, gli infermieri prescrivono in autonomia medicazioni ,ausili, presidi. Solo che non risulta. Il potere certificatorio, il potere della firma, è troppo importante da cedere anche se spesso la firma certificatoria altro non è che una presa d’atto di quanto l’infermiere ha già fatto per conto suo. Ma prescrizione e trattamenti non sono solo quelli medici. Noi infermieri prescriviamo interventi ai caregiver e al paziente stesso. Come da precise indicazioni per prevenire infezioni o lesioni o cadute,  come usare quel presidio, come muoversi, come predisporre la casa e tanto tanto altro. Noi prescriviamo ma non lo sappiamo. E così quella prescrizione non viene trascritta,  certificata, rivalutata e diventa solo “un buon consiglio” che quindi perde la sua prescrittività intrinseca e naturale.
  • Ordina e interpreta test diagnostici compresi quelli in ambito radiologico. Qui alzo le mani. Bisognerebbe capire in che ambito e in che situazioni possono farlo. Forse un see e treat o un fast track evoluto. Sicuramente non sostituiscono un radiologo. Qui ci vorrebbe solo il buon senso dell’appropriatezza clinica ed organizzativa. Un infermiere con venti anni di esperienza in pronto soccorso che ha davanti un trauma evidente e richiede un indagine ad hoc è solo buon senso in termini di efficacia ed efficienza. E forse se in America questo buon senso ce lo hanno è perché in un sistema privato dove i medici sono davvero pagati moltissimo non ha nessun senso impiegarli per ordinare un esame radiologico in situazioni traumatiche evidenti.
  • Raccomanda o esegue procedure come biopsie, punture lombari, suture e toracentesi. Anche qui alzo le mani e quanto detto al punto 6 ritorna. C’è da dire però che in Italia già accade che infermieri suturino ad esempio. E anche qui ci vorrebbe il coraggio di norme che descrivono una realtà non ufficiale fino in fondo e molto disomogenea da Regione a Regione.
  • Insegna e supporta ai pazienti e familiari. Dovremmo farlo anche noi. Punto.

In definitiva otto punti che letti velocemente ci fanno dire che in America sono avanti anni luce e noi al medioevo. Ma sono punti che in larga parte ci appartengono, o che intravediamo,  e che evidenziano un aspetto chiaro: ci mancano norme coraggiose che descrivono la realtà dei fatti e organizzazioni coraggiose che risaltino quello che l’infermiere oggi già fa e non è reso evidente. Ma ci manca anche che le norme che già ci descrivono siano meglio governate da noi e dalle organizzazioni. Perché di quei punti che ci sembrano così all’avanguardia molti sono già nostri e molti lo sono in parte. Solo che lo sono nel caos organizzativo, nella scarsa consapevolezza disciplinare, nella paura delle responsabilità, nelle guerre ideologiche, nella pavidità politica.

Nicola Draoli

 

 

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