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caino e abeleCari amici e colleghi,

In questi anni, insieme a tanti posizionamenti e iniziative, abbiamo sempre tentato di coagulare e far riflettere su tematiche  di buon senso valoriale utili allo sviluppo non solo professionale ma del sistema in cui i professionisti operano. Lasciatemelo fare un altra volta prima delle elezioni.

Leggo un articolo di Nurse 24 dove una collega racconta con sincerità e schiettezza la sua esperienza nell'esser passata da  infermiera clilnica ad infermiera coordinatrice presso la Direzione e dei pregiudizi e difficoltà che sta incontrando nei rapporti con i colleghi dopo avre cambiato "pelle" lavorativa. Sui commenti della pagina facebook arriva una mitragliata di luoghi comuni ai danni della collega coordinatrice di una cattiveria e di un qualunquismo impressionante.

Viviamo di sterotipi secondo i quali un infermiere dirigente è un farabutto, un infermiere coordinatore un nemico, un infermiere ricercatore un imboscato...ma dirò di più...tendiamo a fare la guerra ideologica pure su un collega che non lavora più su turni o che magari si occupa di un servizio seppur in ambito sanitario diverso dall'assistenza diretta.

Diciamoci subito una cosa. Se tali pregiudizi esistono è sicuramente perchè negli anni noi infermieri abbiamo preso spesso il peggio delle altre professioni più storicamente blasonate e, dismessa la divisa da corsia, ci siamo scollati dalla componente identitaria della professione.

Questo gap è così sentito che il Collegio IPASVI di Grosseto ha ritenuto di affrontarlo specificatamente nella proposta alla bozza del codice deontologico ("Gli infermieri avvertono una distanza sofferta con i propri livelli dirigenziali. Una distanza sostanzialmente recepita come un mancato fluire identitario di natura professionale. Come, ovvero, se l'infermiere con ruoli di responsabilità diversi dal settore clinico assistenziale venisse a mancare del suo essere e sentirsi infermiere trasmettendo negativamente questo gap valoriale ed identitario nella comunità professionale. Proposta di articolo: “L’infermiere, ai diversi livelli di responsabilità gestionale, riconosce la componente professionale dei colleghi da lui diretti e/o coordinati come componente identitaria, favorisce la comunicazione dal basso tramite l’ascolto attivo e la restituzione senza abusare del suo ruolo, crede nel valore della prossimità e della presenza, cerca l’integrazione nella conoscenza della componente assistenziale operativa”")

Mi chiedo però perchè bisogna farci così male nel confondere i ruoli e le funzioni con le persone.

Tendiamo a dare un giudizio di valore etico e morale alla posizione piuttosto che alla persona che quella posizione ricopre o ai risultati che quella posizione porta.

Perchè non andiamo a vedere come opera un coordinatore, un dirigente, un professore e su quella base diamo dei giudizi circostanziati? Perchè non cerchiamo di valutare quali esiti e risultati portano i colleghi che non lavorano nell'assistenza diretta alla professione e all'utenza? Perchè non siamo in grado di generare le nostre critiche stratificando i singoli casi e lavorando sui contenuti? 

Dovremmo sempre chiedere i migliori dirigenti, i migliori professori, i migliori coordinatori...ma tendiamo invece ad affossare e contrastare direttamente la stessa esistenza delle posizioni dirigenziali, intermedie, di rappresentanza e di ogni altro settore che non comporta assistenza diretta su turni in una generalizzazione che poi di fatto è dannosa per l'infermieristica e per i cittadini.

È dannosa certo. È dannosa perchè da sempre altre professioni per mantenere una leadership incontrastata (legittimo che ci provino: si chiama lobby) hanno sempre puntato a definire assegnazioni alla professione piuttosto che alle persone. I famosi ruoli contendibili (una direzione di un servizio manageriale ad esempio) da sempre vengono pretesi  da alcuni movimenti medici adducendo che tale ruolo debba andare ad una determinata professione (quella medica appunto) piuttosto che ad un determinato professionista. Così un medico che non ha nessuna esperienza manageriale riesce ad avere direzioni di strutture trasversali (che non richiedono cioè competenze mediche ma competenze manageriali) invece che  un infermiere che oltre ad una laurea magistrale ha magari una seconda laurea in scienze economiche, master su master, esperienze, pubblicazioni. Vale anche negli ambiti formativi. O nella gestione del rischio clinico (ricordiamoci che abbiamo lottato per avere una modifica alla legge 24 che definisce chi è il risk manager: http://www.ipasvi.it/attualita/responsabilit--anche-gli-infermieri-risk-manager-la-camera-approva-il-ddl-id1710.htm) Sono solo alcuni esempi, ce ne sono mille.

Quindi è dannoso e pure schizofrenico. Schizofrenico guardando ad esempio cosa è successo con la nomina di un Collega a Direttore di Distretto, dell'insurrezione di una componente politica in difesa dei medici e di come abbiamo tutti protestato in merito.(http://www.nursetimes.org/di-bari-m5s-contro-la-nomina-di-un-infermiere-a-dirigente-di-distretto-decisa-reazione-del-collegio-ipasvi-bat/37887).

Ecco, in quel caso si difende il collega. E se leggete i soliti social vedrete che lo fanno tutti. Tutti eh. Ma, accidenti, lo difendono proprio tutti quei colleghi che poi massacrano con fare qualunquista e demagogo il collega  infermiere che esercita l'infermieristica in ambiti non clinici. E perchè? Perchè se ci attaccano gli altri allora il discorso cambia.

Come è possibile, mi domando però, mantenere credibilità? Far evolvere la professione? Dobbiamo davvero cambiare cultura ed atteggiamento. Tutti.

Chi sta lontano dal malato deve davvero impegnarsi per dimostrare che la sua identità infermieristica è ben presente e porta gli stessi valori di ogni bravo infermiere clinico, solo con competenze diverse, in ambiti diversi. Chi lavora nell'assistenza diretta deve volere ancora più posti di dirgenza, di ricerca, più cattedre. Non solo perchè così ci sarà più possibilità per tutti di esprimere le proprie competenze ed aspirazioni ma perchè dovremmo semplicemente essere convinti che un infermiere in determinati contesti faccia la differenza!

Lottiamo piuttosto per avere i migiori infermieri in ogni ambito. Questo dobbiamo fare! E aspetto la bagarre per le elezioni nazionali in casa IPASVI che ci darà tante altre delizie . Son proprio curioso, anche lì, di vedere quanti di noi ragioneranno sui contenuti e quanti invece inizieranno la solita battaglia fratricida chiedendo l'abolizione dell'ordine, è tutto un magna magna, son tutti ladri lasciando così la sfida politica ad una cerchia ristretta e esclusiva. E le altre professioni preoccupate di perdere orticelli intanto se la ridono.

L'editoriale finisce qui.....Ma se avete ancora vogliadi leggere vi copio incollo quello che scrissi sei mesi fa.

 

Quando rispettiamo e concorriamo ad esaltare la nostra professione?  Ogni volta che:

Anche quando indossando un camice, un fonendoscopio intorno al collo, una giacca e cravatta, in corsia come ad un convegno come ad un tavolo tecnico  siamo orgogliosi di chiamarci infermieri;

Quando siamo orgogliosi di chiamare collega un bravo professionista che non lavora in corsia o che non lavora direttamente nell’erogazione di servizi sanitari ma che esprime altrove con successo ed etica il valore dell’infermieristica;

Quando diffidiamo e contestiamo colleghi che fanno di tutto per NON farsi chiamarsi infermiere anteponendo  le proprio  posizioni e ruoli all’inquadramento professionale;

Quando lottiamo per avere i migliori infermieri nelle dirigenze e nelle istituzioni politiche invece che distruggere aprioristicamente le dirigenze e le istituzioni politiche;

Quando ogni volta che esplicitamente o implicitamente la società sa che siamo infermieri, riusciamo a presentarci, a parlare, argomentare, disquisire con cultura, idee e spessore indipendentemente dal contesto e dal tema;

Quando non ci sminuiamo mai e poi mai con lo scopo di allontanare le responsabilità ed i guai;

Quando non cerchiamo la comodità dell’ombra ma pretendiamo il rischio della luce;

Quando non fuggiamo dalla relazione  indipendentemente da chi ha bisogno di noi (sia un assistito, una persona giuridica, un collega o a chiunque serva il valore dell’infermieristica);

Quando facciamo sì che tecnica, titoli, ruoli,  posizioni non siano un ostacolo alla relazione di aiuto che è elemento disciplinare e scientifico, connotante la professione,  e mai caritatevole o improvvisato;

Quando non smettiamo di domandarci e di interrogarci se quello che facciamo ha senso e persegue un obiettivo di salute fisica, mentale,  sociale, culturale, politica, economica;

Quando non pretendiamo dal singolo e da noi stessi in quanto singoli di rivoluzionare un sistema ma cerchiamo e pretendiamo reti, inclusione, gruppo, coesione, propositività per rivoluzionare un sistema;

Quando lavoriamo per una identità comunitaria e comune;

Quando smettiamo di gettare fango sulla professione con parole ed azioni ma ci fermiamo per capire di cosa ha bisogno la professione e cosa possiamo fare, o cosa non stiamo facendo, per darle ciò di cui ha bisogno;

Quando lasciamo da parte il vittimismo fine a sé stesso;

Quando cerchiamo e ci lasciamo contaminare da ogni percorso di studio, sia nel nostro ambito lavorativo, che professionale, che in ogni altro ambito anche artistico e letterario. Perché lo studio e la cultura in ogni loro forma ci fanno crescere come persone e quindi anche come infermieri;

Quando il nostro essere infermiere esiste, e lo fa con vita propria;

Quando ironizziamo su noi stessi con intelligenza e non con volgarità o disfattismo;

Quando rispettiamo tutte le professioni e gli altri profili socio sanitari e non abbiamo paura della loro evoluzione non perché siamo “buoni o fessi” ma perché siamo sicuri della nostra professionalità, del nostro sapere specifico e della nostra capacità evolutiva.... e perché siamo i primi a pretendere questo dagli altri.  

Quando riconosciamo i nostri limiti ed evitiamo di pontificare esattamente come in questo caso perché nessuno è capace, in fondo in fondo, di seguire alla lettera questa lista compreso il sottoscritto che la ha pensata (:-D)

Siamo ciò che decidiamo ogni giorno di essere e nessuno può aiutarci in questo.

 

Nicola Draoli. INFERMIERE

 

 

 

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