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MagritteCerchiamo tutti qualcuno che ci salvi, ma facciamo fatica a cercarlo in noi stessi.
 
Identità e coesione professionale. In cosa ci riconosciamo? In chi ci identifichiamo? Siamo una professione cosi essenziale e incisiva quanto divisa nell’identità e nella coesione. Piegati da organizzazioni sempre più a corto di risorse e di valori, in un contesto difficile e orfano di processi relazionali, che tendiamo a cercare divisioni piuttosto che punti in comune. Il collega che lavora su turno guarda con diffidenza chi lavora sul diurno, come se questa differenza organizzativa potesse incidere nell’identità professionale, come se identificasse un infermiere diverso. Peggio che mai quando si guarda ai coordinatori, ai dirigenti, ai formatori. Peggio ancora quando si guarda ai rappresentanti ordinistici o sindacali. La matrice comune, essere infermieri, quasi non conta più. Anzi, sembra a volte che non condividere il turno in quinta sia di per se elemento sufficiente a dichiarare che non si possa essere infermieri con la I maiuscola.  Se poi ci chiedessimo chi è l’infermiere avremmo tutti difficoltà a descriverci compiutamente, ma non abbiamo nessuna difficolta, incredibilmente, a supporre chi è infermiere con la i maiuscola e chi no. Come se ci fosse una mediana e tutto ciò che devia da questa mediana non potesse condividere identità, passione, problematiche, visioni. Un po’ come San Agostino che diceva: “se penso al tempo so descriverlo ma se qualcuno me lo chiede non lo so più”.
 
Questa condizione divisiva, aggravata dal contesto di cui sopra, ci blocca nelle analisi di un singolo spazio circoscritto, il nostro reparto, il nostro setting, se va molto bene la nostra specializzazione clinica, e ci porta quindi a chiedere di risolvere e aggredire questioni del tutto limitate e personali, meno spesso di interesse generale. 
 
Se infermieri formatori parlano di università, non parlano di infermieristica. Se infermieri dirigenti parlano di organizzazione non parlano di infermieristica. Se infermieri ricercatori parlano di studi non parlano di infermieristica. Se, in sintesi, non si parla del nostro microcosmo particolare che richiede interventi particolari ed interlocutori particolari, non si parla di niente che possiamo sentire nostro. Cosi sentiamo invece “nostra” una minima parte del tutto e abbiamo bisogno di aggredire centomila contesti diversi, come se lo sviluppo professionale sia l’analisi e la risoluzione di uno spazio che va dal letto 1 al letto 20 e si ferma li perché dal letto 21 il reparto di chirurgia A, per dire, diventa chirurgia B e quindi la mia sfera professionale non mi appartiene.
 
Parlavo con una collega, molto giovane per altro, che in procinto di lasciare un servizio non smetteva di impegnarsi in alcuni percorsi di cambiamento. “Non è che perché tra poco vado via debba abbandonare questa lotta” mi ha detto. “Ci saranno colleghi dopo di me, ed io mi impegno per la professione oltre che per me stessa”. Mi ha commosso e stupito e non dovrebbe essere cosi. Dovrebbe essere la norma ed invece non lo è. Ci sono dei ruoli e delle posizioni che debbono e possono aiutare in molti contesti, ma quanto, mi chiedo, facciamo ognuno di noi verso un interesse generale di crescita professionale e non particolare? I personalismi soffocano ogni evoluzione, eppure ne siamo intrisi, li cerchiamo disperatamente, sia quando vogliamo apparire, sia quando lottiamo per qualcosa. Se è del tutto umano che ciò accada, è pero stancante invocare interessi generali che noi per primi non perseguiamo. 
 
Nessuno ci salverà. I rappresentanti ordinistici ad esempio vanno e vengono, guidano pro tempore un ente che chiede una tassa, non attirano grandi numeri di elettori, e non sono quindi vissuti come rappresentativi figuriamoci se partecipati. Eppure, per ora, esistono. Ma anche qui è più facile cercare capri espiatori che mettersi in discussione ed impegnarsi nell’ente vissuto con sospetto (perché qualcuno lo deve pur fare). 
Per alcune realtà sindacali, meno strutturate e che si reggono su pochi colleghi volenterosi e caparbi, il discorso non è molto diverso. 
 
Nel marasma generale di fatica quotidiana le richieste di aiuto sono mal indirizzate. Problemi organizzativi vengono richiesti all’ordine e non al sindacato. Problemi professionali e deontologici vengono richiesti al sindacato e non all’ordine. Su problemi locali e territorialmente circoscritti si chiede alla Federazione e su problemi nazionali si chiede all’ordine provinciale. Il risultato è che nella confusione la non risoluzione immediata, che soluzioni immediate non ci sono quasi mai, viene addebitata un po’ a destra un po’ a manca verso i cosi detti luoghi di potere contribuendo a creare divisioni e classificazioni. Che poi più che luoghi di potere, come disse un Presidente che stimo molto, sono troni di spine che solo il masochismo infermieristico accetta di buon grado e chi si impegna in certe organizzazioni lo sa bene.
 
Per portare me stesso, non come esempio positivo ma solo come pretesto di discussione, vorrei sempre sentirmi  un infermiere che lavora con dei colleghi, che ascolta i colleghi, che chiede aiuto a dei colleghi, che sbaglia, che inciampa, che a volte riesce, che si trova in accordo o disaccordo. Ruoli e posizioni danno responsabilità e doveri diversi, questo é evidente, ma mai dovrebbero far venir meno chi si è e banalmente si è “infermiere”, e spero questa tensione non mi abbandoni mai. Mi firmo Dottore. Ma sempre troverete nella mia firma  Infermiere a precedere ogni ruolo (infermiere coordinatore e non coordinatore infermieristico o peggio coordinatore, che le parole hanno un peso). Alcuni colleghi a volte vedono il dottore come una  divisione dall’infermieristica con la I maiuscola, altri invece rivendicano il giusto riconoscimento del titolo accademico. Quindi? Quando mai ci troveremo d’accordo? Quando finiremo questa dicotomia per cui la professione deve avanzare in ruoli e prestigio (siamo dottori perché la legge ce lo riconosce!) salvo poi dividere e catalogare noi stessi a seconda della frustrazione del momento? (Ah! Io sono infermiere, i dottori sono i capi).
 
Vedete, e qui chiudo, fare rappresentanza professionale ha un'unica certezza: sarai un catalizzatore di qualunque cosa e guardato in modo diffidente, facente parte di una casta, lontano da molto e da molti. È normale. Tutti i ruoli di responsabilità hanno questo destino. Ci si viene a patti. Ed in questa consapevolezza mai dobbiamo però smettere di ascoltare tutti. Ma tutti noi, tutti, dovremmo unirci e considerarci un'unica grande comunità professionale, cominciare a lavorare insieme per risolvere le nostre questioni, differenziare, studiare, capire, crescere ed indirizzare meglio le nostre doglianze, e fare dell’ascolto un percorso bidirezionale che altrimenti non produce esiti. Che anche quando si chiede qualcosa che non può essere risolto perché si sbaglia interlocutore la prima reazione e mettere un muro perché ci si è sentiti non accolti.
 
Dobbiamo fare un salto di pensiero allargato per discutere animosamente di tutto, sicuramente evidenziando le falle di sistema e l'operato di altri, ma anche impegnarsi attivamente non solo nel raccogliere malumori e lanciarli senza un costrutto. Così funziona una comunità, dove tutti hanno ruoli attivi. Non basta raccogliere malumore e spargerlo al vento, ma dobbiamo analizzarlo e capire come risolverlo insieme, perché tutti, tutti, abbiamo una parte da giocare nelle risoluzioni. Tutti. In ruoli diversi ma tutti.
 
Sono così certo di questo “tutti" che forse chi ci salva posso azzardarlo: sono i colleghi silenziosi che producono innovazione e miglioramenti e di cui non sappiamo niente, sono quelli che forse l’infermieristica la hanno capita e magari te la sanno anche descrivere bene. Sono loro a coltivare lo sviluppo più pregnante . Trovarli può essere complicato proprio perché lavorano in anonimato, senza i personalismi di cui sopra. Trovati, coinvolgerli è ancora più difficile. A loro guardo con speranza, che loro davvero fanno la crescita di tutti noi, anche se raramente li leggeremo nei dibattiti sull’identità professionale , che loro non ne hanno bisogno.
 
Riusciremo ad incontrarci più o meno tutti?
 
Nicola Draoli.....infermiere etc etc 

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