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to.do .list Una lettera interessante è stata pubblicata oggi su Quotidiano Sanità.

Questo il testo: http://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=44808

Il titolo è forse eccessivamente perentorio con "la colpa è dell'organizzazione" ma i contenuti stimolano una serie di riflessioni e trovo estremamente positivo che a portarle sia un medico, anzi un giovane medico, a riprova che, forse più di quelle vecchie, le nuove generazioni producono riflessioni multiprofessionali e si sentono unite agli altri professionisti - come poi dovrebbe essere - a condividere fatiche pensieri e rivoluzioni. Dice la dott.ssa Gnerre che è il sistema la "root cause" del demansionamento. Che anche il medico vive spesso una situazione di demansionamento svolgendo attività appannaggio di altre figure anche se è necessario che ogni operatore viva in una condizione di flessibilità mentale ed operativa, senza paletti eccessivamente rigidi, per poter veramente prendersi cura e curare una persona. È tutto assolutamente condivisibile ma oggi la questione è molto più complessa e complicata di quanto non si possa descrivere in poche righe. Non credo ad esempio si possa parlare di sistema solo come ambiente esterno all'agire professionale ma anche come ambiente interno alle stesse professioni e ad ogni professionista. Quante volte decidiamo volontariamente di demansionarci? Parlo al plurale mettendoci dentro tutti. Medici, infermieri, OSS. Tutti.  Ad esempio io credo fortemente che il medico che lotta per mantenere un potere di firma su prescrizioni non farmacologiche come pannoloni e dispositivi antidecubitoi o ritiene che una sutura superficiale o ancora un intubazione debba essere solo campo medico si stia semplicemente demansionando  rinunciando ad esercitare ben altri ambiti intellettuali che gli appartengono. Così come l'infermiere che teme l'oss che un domani potrà fare l'iniezione intramuscolo. Nessuna differenza. La complessità degli atti dovrebbe essere definita in virtù della complessità della specifica situazione clinica assistenziale correlata alle comptenze certificate del professionista. A meno che non si pensi che inserire un sondino naso gastrico ad un bambino, ad un comatoso o ad un adulto consenziente sia la stessa identica cosa. O che medicare una persona caduta da motorino o dopo un'aggressione sia la stessa cosa per quanto attiene le competenze relazionali che circondano quelle tecniche. È in definitiva un ragionamento di appropriatezza più che di mansioni e demansionamento. Ne abbiamo parlato più volte:APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA? MEGLIO PARLARE DI APPROPRIATEZZA CLINICA

Esiste un ambito di specifica professionale certamente. La diagnosi medica  la fa il medico, il piano assistenziale lo fa l'infermiere, le attività di riordino e pulizia degli ambienti le fanno gli oss. Ma sto chiaramente semplificando. Dentro esistono una serie di attività contendibili. Perchè alcuni farmaci li somministra in autonomia anche l'infermiere del 118 e un infermiere utilizza  l'ecografo a fini non diagnostici così come un piano mirato alla risoluzione di una lesione da pressione o l'educazione ad un caregiver o mettere in atto azioni preventive ad un rischio caduta lo  fa anche il medico. Perchè tante altre cose infine le si fanno insieme e congiuntamente, dal garantire il corretto percorso di una trasfusione ematica ad un intervento rianimatorio.  Le prestazioni tecniche di per sé sono e saranno sempre contendibili in un sistema normalmente evolutivo. Ciò che un professionista è chiamato a fare dovrebbe appartenere alla sua identità  se:

risponde alla sua specifica disciplinare, se ovvero l'atto che consegue è frutto di un ragionamento diagnostico (diagnosi dal greco riconoscere attraverso) che lui è in grado di porre in essere nel suo specifico ambito professionale.

Se l'atto che ne consegue serve a risolvere, prevenire, intervenire su ciò che è stato da lui diagnosticato

Se i risultati di quell'atto sono certificabili e misurabili in autonomia dallo stesso professionista.

Se esistono le competenze base e post base che lo abilitano a compiere quell'atto.

Il punto forse, ed è per quello che mi dico che il sistema è anche interno, e organizzazione siamo anche noi stessi, è quanto sia saldo e governato lo specifico disciplinare. Quello che ci permette di diasgnosticare e misurare. E non sto parlando di NANDA, quelle son tassonomie. E nemmeno di NIC e NOC che sempre tassonomie sono. Parlo di "riconoscere attraverso" con la consapevolezza che è un riconoscere che a noi compete. Che, anzi, decidiamo consapevolmente di poter riconoscere.

Il rapporto numerico assistiti infermieri medici è sacrosanto e sarebbe davvero ora di veder riconosciuto uno standard minimo obbligatorio ma non basta e non può bastare.

Ne avevamo parlato qui:QUANTI SIAMO? SI DICE SEMPRE CHE “MANCANO GLI INFERMIERI” E QUESTO È VERO QUANTO RIDUTTIVO.

E il caso da cui parte la lettere di Gnerre è emblematico in questo senso. Un modello come il primary nursing usato o travisato come viatico per disporre atteggiamenti che tutto sono meno che illuminati e progrediti. Che non basta un modello valorizzante a far evolvere il sistema. Ma d'altrone le buone rivoluzioni sulla carta poi applicate male nella realtà, quasi da essere antitetiche al principio che le genera, non sono una novità. Noi lo sappiamo bene con l'intensità di cura. Speriamo davvero che si possa ragionare insieme a tutte le professioni su quello che serve al cittadino lottando non solo per valorizzare noi stessi ma anche gli altri professionisti, e che questi facciano altrettanto.  potremo infine riuscire ad offrire un sistema ancora migliore e non demansionante.

Nicola Draoli  

 

P.S. A margine di questa riflessioni, nel nostro caso specifico territoriale, la survey da noi proposta ha evidenziato che la maggioranza dei colleghi non si sente demansionato e che la principale criticità percepita in questo senso è l'aggravio burocratico amministrativo (I risultati della Survey "Pubblici Dipendenti" Iscritti al Collegio IPASVI GR)

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