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primary nursingLa delegazione è venuta in Maremma per conoscere il sistema di presa in carico infermieristica "Primary Nursing" adottata negli ospedali del territorio. L'incontro è stato riportato nei vari media locali (http://www.ilgiunco.net/2016/06/30/gli-infermieri-dellazienda-ospedaliera-di-reggio-emilia-in-visita-allospedale-di-grosseto/). Siamo estremamente contenti che spazio mediatico sia dato anche ai modelli assistenziali di innovazione oltre che diagnostico terapeutici. I nostri complimenti a tutto lo staff direzionale e soprattutto ai colleghi che lavorano nella clinica quotidianamente. Momenti di incontro tra realtà diverse sono importanti e sollevano ampie riflessioni. Quello che da anni stiamo provando a fare nella realtà Grossetana è sicuramente un  motivo di vanto per tutti i professionisti che vogliono migliorare l'assistenza infermieristica quotidiana. Crediamo altre sì importante fare due riflessioni molto molto veloci in questa sede più professionale.

Il modello del Primary Nursing è visto come una "novità" perché va a formalizzare con strumenti specifici e modelli organizzativi un espressione dell'assistenza infermieristica che  dovrebbe essere insita ed implicita nel nostro agire. Ogni persona da noi assistita dovrebbe essere in grado di identificare un operatore di riferimento a cui interfacciarsi, che si faccia posizione di garanzia ed espressione di continuità ma che, soprattutto, non renda il percorso di cura vissuto dal curato come un percorso di solitudine e di mancato affidamento. Questa  probabilmente è una delle più importanti richieste  che i cittadini rivolgono a noi infermieri, da cui l'etimologia "assistere" ovvero "stare vicino".  I limiti sono diversi e non è la prima volta che il Collegio li evidenzia propositivamente. La mancata informatizzazione, ad esempio, su cui tutti concordano Direzione compresa.  Più in generale crediamo che sia la rigidità uno degli scogli più grossi in cui rischiamo di imbatterci. Il cambiamento verso un assistenza personalizzata è di matrice forse prima  culturale che organizzativa anche se i due aspetti si influenzano vicendvolmente. Deve essere un cambiamento che avviene in noi indipendentemente dai modelli e dagli strumenti e, attraverso noi, contaminato all'utenza. Ricordo ad esempio di un ricoverato inglese che chiese al medico "dove è il mio infermiere di riferimento?". Di certo a quella persona non interessava sapere quale modello teorico usavamo per raccogliere i dati o se veniva fatta una pianificazione con tassonomie dichiarate, ma solo sapere chi era il suo infermiere di riferimento a cui potersi rivolgere. Ecco quindi che gli strumenti - il tabellone, le pianificazioni standard, il biglietto da visita - sono binari fondamentali per tracciare un percorso che merita di essere visibile. Devono però, ad un certo punto del cammino, diventare scavalcabili per permetterci, una volta interiorizzata la filosofia della presa in cura personalizzata, di non legarcisi eccessivamente a doppio filo. Il rischio che avvertiamo, su cui tutti noi nei vari livelli dovremmo forse riflettere, è che si proceda a lavorare certificando l'esistenza del modello e non l'effettiva buona funzionalità che quel modello vuole portare. Che si vada a dimostrare positivamente gli indicatori (ho consegnato il biglietto da visita, ho compilato correttamente il tabellone, ho aperto una pianificazione) ma che non ci si concentri sugli obiettivi che tali strumenti intendono perseguire. Usare un linguaggio scientifico comune (NNN) è importantissimo...ma il futuro lo immagino come un foglio bianco dove l'infermiere, fatte salve le scale di valutazione indispensabili (braden, glascow etc etc), scriva valutazioni interventi ed esiti infemrieritsici in libero pensiero critico e scientifico legato al singolo caso che ha di fronte. Un futuro dove l'infermiere non avrà l'impegno organizzativo di consegnare un biglietto per dimostrare che sta attuando il primary nursing ma che, entrando in una stanza, si presenti spontaneamente e che quella persona - biglietto o no - lo ricordi, lo riconosca e lo associ ad un esito positivo di salute. Che l'indicatore primo e ultimo resti l'esperienza della persona. L'altro rischio è che la rigidità applicativa degli strumenti faccia perdere paradossalmente la relazione intra ed extraprofessionale. Pensiamo alla cartella integrata. È un fondamentale strumento di interscambio informativo tra professionisti ma non può diventare pretesto per far perdere di vista la ricerca di un confronto medico infermieristico al letto del malato o in un contesto di briefing e debriefing. Che non si legga questa disamina come disfattista! La formalità di questo percorso è importantissima per evidenziare e certificare lo sviluppo della professione agli altri ed in larga misura anche a noi stessi. Bisognerà però trovarsi pronti per incamerare questa riforma culturale e renderla prima o poi libera da legacci autoreferenziali. Libera da una firma la cui apposizione non sia vissuta come certifcatoria della produzione del documento richiesto, ma certifcatoria dell'azione che quel documento indica. E non è un passaggio banale. Orgogliosi degli infermieri che rappresentiamo quindi e dei modelli che stiamo ponendo in essere. Speriamo di poter progredire però senza mai perdere di vista l'onestà intellettuale e l'autocritica che miri ad evitare un ingigantimento burocratizzante di un modello che sarà sicuramente utile e prezioso a tutta la comunità.

Come dice Manthey: "Fai sempre quello che è nel migliore interesse del paziente e non fare mai quello che viola il buon senso"

Nicola Draoli

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